IL TABARIN..COME CI SI DIVERTIVA NELLA PARIGI DEL NOVECENTO

 di Alessandro Claudio Giordano

 Il primo tabarin che acquisì fama internazionale fu a Parigi il Bal Tabarin situato al 36, rue Victor-Massé nel IX arrondissement. Era stato aperto nel 1904 dal compositore e direttore d'orchestra Auguste Bosc (1868-1945) ottenendo un successo immediato.

Nel 1928 Pierre Sandrini (figlio della prima ballerina Emma Sandrini e direttore artistico del Moulin Rouge) e Pierre Dubout lo rilevarono. Sandrini introdusse il balletto nei suoi spettacoli e i disegni di abiti di Erté li hanno trasformati in spettacolari tableaux. C'era un nuovo spettacolo ogni anno, ognuno con un tema, come I pianeti o La sinfonia; alcuni sono stati ispirati da personaggi storici come Cleopatra e Madame de Pompadour. Nella seconda guerra mondiale, durante l'occupazione di Parigi, fu frequentato da ufficiali tedeschi. In quel periodo vi si esibì la ballerina sudafricana Florence Waren. Sconosciuta ai tedeschi, essendo ebrea, fu internata per diversi mesi. Al suo rilascio tornò al Bal Tabarin e si unì a Frederic Apcar per formare il duo di ballerini Florence et Frederic. Divennero famosi apparendo sul palco con artisti del calibro di Edith Piaf e Maurice Chevalier, mentre la Waren allo stesso tempo aiutò la Resistenza francese. Dopo la guerra il Bal Tabarin fu rilevato dai proprietari del Moulin Rouge, che lo chiusero nel 1953.

Locali di questo tipo furono anche chiamati café-chantant. Il termine viene usato nei confronti di un cabaret di cattivo livello, o di cabarettisti incapaci di far ridere. In Italia e soprattutto in Piemonte, data la vicinanza con la Francia, il tabarin si sviluppò con forza. Nella Torino sabauda gli uomini davano libero sfogo alle più sfrenate fantasie frequentando, di nascosto, alcuni tabarin come il Columbia e il Perruquet di via Goito, oppure il Chatham di via Teofilo Rossi. Non erano locali a “bun pat” e questa rappresentava una prima selezione. Le protagoniste erano delle spogliarelliste che si impegnavano in performance tanto coraggiose per quegli anni ma che terminavano lasciando alla fantasia degli ospiti il finale. Il tabarin era in fondo, l’espressione del divertimento libertino, ed anche da noi rappresentava un luogo che anche la più composta borghesia non esitava a definire equivoco. Tra seduzione, luci deboli degli abat-jour, drappi di damasco rosso profumi esotici e sofà di raso, si muovevano i nottambuli in cerca di emozioni, ed artisti più o meno squinternati cantavano e recitavano le storie e le sventure di bandoleros, gitani, gigolò, apaches e di tutti gli sbandati di ogni latitudine. Il clima che si assaporava in queste “taverne” ricordava per scenografie e temi trattati di volta in volta la pampa argentina, oppure i deserti dell’Arizona, o ancora le periferie e i bassifondi delle metropoli.  Un mondo ritagliato ai margini di una quotidianità che negli anni venti, trenta e quaranta dovette fare i conti con le difficoltà di due guerre, ma che nonostante tutto cercò di sopravvivere al momento pe poi chiudere i battenti con l’avvento di balere e night club, simbolo di un’Italia che nel dopoguerra cambiò gusti ed esigenze preferendo lo spettacolo popolare ed a volte dozzinale all’eleganza ed esclusività dei tempi passati.