L’emigrazione cuneese verso Nizza

di Alessandro Claudio Giordano

 In un passato non così lontano i cuneesi sono stati abituati a lasciar casa per cercar fortuna altrove. La loro “nostra America” è stata spesso la vicina Francia ed ancor più il nizzardo, pronta ad accogliere chi cercava fortuna.

Qualcuno da questo viaggio sarebbe tornato, per altri il biglietto era di sola andata. Così proprio a Nizza cognomi come Botta, Dutto, Gambetta, Gandolfo, Giordano e tanti altri tipici delle nostre vallate sono molto familiari. Come detto perché questo era l’approdo più vicino. Così dalla fine dell’ottocento sino alla fine del secondo dopoguerra il tratto tra le valli cuneesi e Nizza è stato molto trafficato.

Più in generale con il censimento del 1851 le autorità francesi, stabilirono che 63.000 residenti erano italiani (in primo luogo piemontesi). Il numero crebbe e molto per tutto il XIX secolo, arrivando a quota 163.000 nel 1876 e 240.000 nel 1881. All'inizio del Novecento l'emigrazione riprese e quella italiana divenne la prima comunità straniera residente nel Paese; 500.000 italiani nel 1911. In questo periodo la Francia accoglieva gli italiani ed offriva loro lavori di bassa manovalanza nei settori agricolo ed edile, oppure garzoni in città e lontano da Nizza anche nelle prime industrie e nelle miniere.

 Ovvio che quanto i nostri potevano offrire era un lavoro qualificato. Problemi di lingua ma anche una ghettizzazione molto marcata non aiutarono i primi che raggiusero la Francia. Così solo quelli di seconda o terza generazione riusciranno a superare la diffidenza ed integrarsi nell’ambito della società.

un garzone (sull'estrema sinistradella foto) in un negozio della vecchia Nizza

Ma come arrivavano in Francia i nostri cuneesi? Diremmo che i più con mezzi di fortuna fino alla fine dell’ottocento ed in parte anche oltre. Ad esempio il decreto per la costruzione del collegamento ferroviario tra Cuneo e Ventimiglia, porta la data del 29 luglio 1879, ma l’opera non verrà conclusa prima del 1928. Importante era arrivare al mare. Ancor più aver lasciapassare validi o abilmente contraffatti. L’essere sorpresi dai douaniers non aveva conseguenze sul piano legale ed il tutto si limitava ad una strigliata nella vicina caserma. E poi ogni mezzo ed ogni strada erano quellì buoni. Un tempo la via del Sale, da Limone verso Monesi e poi verso il mare, oppure il Colle di Tenda, dalla Val Gesso da Entracque verso Saint Martin de Vesubie. Al proposito si organizzavano gruppi condotti da passeurs che guidavano quattro, cinque a volte sei e mai più di dieci verso l’espatrio clandestino. Vita grama per chi ed inaccessibile partiva perlopiù dai paesi delle vallate senza sapere dove avrebbe dormito o cosa avrebbe fatto. Non era problema di organizzazione, piuttosto di precarietà ed in questa parola ci sta tutto, dall’indigenza alle pochissime risorse economiche e alla poca istruzione. Questa era un’emigrazione che non sapeva di romanzo perché di terza classe con toppe ai pantaloni e tanta paura per un mondo nuovo e sconosciuto. Il tempo e la testardaggine darà ragione agli emigrati e come già ricordato ci sarà chi ritornerà per riprendere da dove aveva lasciato a e chi non tornerà più accettando ed integrandosi nel nuovo. Oggi i tempi sono cambiati e quel tipo di emigrazione non ci appartiene più. Questo però è traccia importante nella memoria e nella cultura stessa del territorio cuneese che passo passo in questi ultimi anni ha saputo guadagnarsi spazio con eccellenze nella nostra società, lasciandosi alle spalle la vita grama degli anni dell’emigrazione.