di Alessandro Claudio Giordano
Carri armati, bombe e razzi, ecco il segno distintivo dell'Armata Rossa e poi russa in movimento. Qualcuno parla si ricorsi storici o più sovente coincidenze, ma sembrerebbe quasi che il metodo più comune per sopprimere qualsiasi tipo di resistenza politica sia stato per i russi l’utilizzo del carro armato.
Nel 1956, a seguito del XX Congresso del Pcus, quello in cui Kruscëv denunciò i crimini di Stalin, nei Paesi dell’Europa orientale si ebbero una serie di piccole e grandi rivolte da parte di popoli che chiedevano libertà e democrazia. Il 23 ottobre si mosse l’Ungheria, con una gigantesca manifestazione a Budapest. L’Unione Sovietica reagì inviando i suoi carri armati. Si insediò un governo guidato dal comunista riformatore Imre Nagy. Ma i nuovi progetti di democratizzazione preoccuparono ancor più l’Urss, la quale il 4 novembre spedì l’Armata rossa a deporre Nagy (che due anni dopo verrà messo a morte) e a reprimere i moti. Nella notte tra il 20 e il 21 agosto del 1968 le truppe del Patto di Varsavia (La Nato dell’Impero sovietico) invasero la Cecoslovacchia e stroncarono la Primavera di Praga ovvero il tentativo del leader del partito comunista di quel Paese, Alexander Dubcek, di costruire un regime più aperto ed orientato alla democrazia. La prospettiva di un ‘’comunismo dal volto umano’’ aveva suscitato molte speranze ed illusioni nel mondo ancora squassato dai venti della contestazione giovanile che stavano spirando in tutto l’Occidente. Nel gennaio 1969 il giovane Jan Palach si diede fuoco per attirare l’attenzione internazionale sul regime dispotico instauratosi in Cecoslovacchia a seguito dell’ingresso, il 21 agosto precedente, dei carri armati russi. Nella notte di Natale del 1979 le armate russe entrarono fraternamente nell'Afghanistan e vi restarono per dieci anni prima di fuggirne sconfitte. L'Armata Rossa crollò insieme all'Unione Sovietica e a Mosca. Potremmo ricordare ancora la Crimea oppure l’Ossezia paesi e città devastate a più riprese e l’opposizione ridotta a ruolo subalterno. Ed oggi Kiev e Maripoul. Un refrein che si ripete a dispetto di incoraggianti tentativi di mediazione finiti nel nulla. E nostro malgrado agli sneliti di democrazia l’Unione sovietica prima, Russia poi ci hanno sempre abituati all’uso dell’esercito senza se o ma. Al punto di lasciar pensare che in fondo il PCUS non fosse un semplice paravento e tutta questa violenza o ricerca in fase di attacco o difesa dell’esercito sia poi in fondo una comoda ma pericolosa abitudine. Così anche le giornate di Cierna Nad Tisou, quando all’inizio di agosto del 1969 si tennero gli ultimi incontri del vertice comunista di Praga con quello di Mosca, prima del naufragio. Appeso a quel nome di città sconosciuta ai confini tra la Slovacchia e l’Ucraina, allora Urss, c’era la speranza di una svolta. Gli eventi di vent’anni dopo, con la perestroika e la glasnost di Gorbaciov avrebbero rivelato che nessuna svolta riformistica del genere era possibile e che l’apertura alle riforme significava per il comunismo un collasso di sistema, valutazione in cui convergevano le tesi «carriste» insieme a quelle del più rigoroso anticomunismo.
Eppure le «ingenue» speranze di Dubcek, con la forza liberatoria che avevano nel ’68 non possono essere archiviate solo e semplicemente come un fallimento, come «una pietra tombale» del revisionismo comunista, come un suicidio che vanificò l’ultimo tentativo di salvare l’eredità della Rivoluzione d’Ottobre. Furono tutto questo, ma anche la preparazione di quel finale incruento che accadde poi nell’89. La Russia di oggi è figlia di quel collasso di sistema che ha spazzato via tutto. Importante capire cosa sia rimasto in piedi. Così i vent’anni di Vladimir Putin al Cremlino sono figli della vecchia politica di un PCUS incapace con Gorbaciov prima e Elsin poi di riformare lo Stato partendo dai cardini di un paese che ha perso le prerogative di paese democratico. Paradossalmente questa è una guerra sbagliata a cui l’esercito russo arriva decisamente impreparato nella logistica. L’adozione in corsa di alcune contromisure dimostra che lo Stato Maggiore di Mosca non si attendeva certi rischi e che comunque ha sottovalutato il teatro. Peraltro è avvenuto anche in altri conflitti: gli americani dopo l’invasione dell’Iraq hanno modificato diversi camion aggiungendo corazzature rudimentali e delle torrette. Questo perché gli attacchi degli insorti ventavano intensi ed era profonda la minaccia degli ordigni esplosivi sempre più potenti. Al di là della politica è importante rilevare come i tank russi impegnati nell’operazione ucraina siano vecchi ed un certo tipo di organizzazione e logistica delle truppe lasci molto a desiderare. E le attività di ripristino mezzi che ricordano molto il film “Mad Max” rientrano oggi nella quotidianità. Oggi 'angoscia, il dolore, il terrore di quei terribili e interminabili giorni in cui cinquemila carri armati sovietici invasero Budapest si respira a Kiev e qualcuno come allore vorrebbe che tutto si soffocasse nel sangue, come in Ungheria dove persero la vita quasi tremila persone. Numeri che danno la misura per un confronto tra ieri ed oggi. A combattere e allora c'erano studenti, operai, donne, intellettuali, sportivi. Identici i carri armati arrivati da Mosca; identici i palazzi sventrati dalle cannonate; identici i civili che cercano riparo nei bunker con le poche cose rimaste. Dicono che Putin sia il nuovo Hitler, ma anche questo non è vero. Putin è il nuovo Stalin: è alla sua scuola, non solo filosofica, che l'ultimo tiranno è cresciuto. É il ritratto di Stalin che gli ungheresi bruciavano nelle piazze del '56, è il ritratto di Putin quello che oggi viene consegnato alle fiamme. Tutto in questa guerra è lecito. Sembrerebbe addirittura che gli ucraini stiano eliminando i segnali stradali nel tentativo di disorientare le truppe russe che stanno invadendo le città. È la stessa tattica che fu utilizzata durante la Primavera di Praga, quando i cittadini dell'allora Cecoslovacchia cominciarono a eliminare o a invertire i segnali stradali per confondere l'esercito del Patto di Varsavia. La storia si ripete. Le cronache ci consegnano così una guerra di quartiere i cui protagonisti di parte ucraina lottano casa per casa di fronte dei cannoneggiamenti indiscriminati di scuole ed ospedali. La retorica di regime sottolinea, smentisce, ma il problema è legato al fatto che sia definitivamente tramontata l’operazione di occupazione lampo del paese e che si sta palesando sempre più la prospettiva di una guerra dura ed ingombrante che rischia di dare scacco allo stesso Putin. Già perché lui ed i suoi folli consiglieri militari, dopo aver capito che gli ucraini avrebbero venduto carissima la pelle e la perdita della libertà, hanno cambiato la tattica: prima di entrare nelle maggiori città stanno bombardando con missili e bombe a grappolo (sono armi pensate per colpire la mente oltre che il corpo degli aggrediti) evitando di ingaggiare combattimenti con l’esercito difensore e con i civili in armi. Hanno deciso di fiaccare la resistenza anche psicologica oltre che militare dei cittadini nelle città ucraine prima di occuparle. Lo fanno fregandosene di qualunque giudizio morale. L’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo non è giustificabile. Non la giustifica la difesa della Russia. Non la giustifica l’intervento in questioni interne di Kiev. Non la giustifica la Storia. Insomma, nulla giustifica l’invasione di una nazione e di uno Stato sovrani. Eppure il dibattito, da quando i russi hanno messo piede in Ucraina, si è svolto proprio intorno a questa inafferrabile ‘figura’: la giustificazione. Come se da qualche parte ci fosse una ‘causa’ capace di dar conto di un inevitabile ‘effetto’. Ma causa ed effetto, soprattutto nella Storia, non esistono. La Storia non va avanti a forza di saggezza, in nome della quale nessuno ha mai trovato il coraggio di morire. Quel che muove è la pazzia, e mai pazzia fu più sublime di quella degli studenti di Budapest o qualche anno più tardi dei cecoslovacchi oppure dei poveri ucraini presi a cannonate. Il diritto alla difesa della proprie prerogative e della propria libertà giustifica qualsiasi tipo di difesa. Putin ha già moralmente perso e la Russia ha bruciato in un mese cinquant’anni di storia, il resto sono ipotesi su tempi e modalità di una guerra che una volta conclusa presenterà il conto….un conto salatissimo per tutti.