La scuola cambia: i programmi "Ermini"

di Alessandro Claudio Giordano

 Quello che uscì dalla seconda guerra mondiale era un paese povero e con poche idee. Vero gli Alleati ci avevano restituito un’Italia libera, ma anche estremamente povera anche in progettualità.

In realtà era l’intero paese a doversi rialzare ed dover fare i conti con una società spezzata dalla guerra e da una sorta di analfabetismo endemico che ne bloccano lo sviluppo. Ed in quel frangente uno dei settori in cui è importante investire era la scuola, cambiando anche la struttura e le regole. E cambiava l’approccio perché andava ad analizzare, secondo le teorie cognitive di Piaget la storia dell’individuo e il suo sviluppo cognitivo, perché così è possibile acquisire informazioni dall’ambiente per immagazzinarle, attraverso rappresentazioni mentali, che permettevano di essere utilizzate in momenti successivi della propria esistenza. Nacquero così i programmi “Ermini” per la scuola elementare, conosciuti per essere la base di dibattito“. Esistono tappe diverse di acquisizione di capacità mentali per ogni fase di sviluppo. Si individua in questo caso un circolo che inizia e si chiude con il depotenziamento o involuzione delle capacità cognitive, che coincide con la nascita e l’invecchiamento dell’individuo, che raggiunge il picco massimo di acquisizione di informazioni durante la giovane età adulta. Secondo Piaget lo sviluppo cognitivo si verifica attraverso l’assimilazione di informazioni e gli scambi che avvengono direttamente con l’ambiente, permettendo in questo modo di strutturare delle rappresentazioni mentali, schemi cognitivi, ben organizzati. Di conseguenza si determinano cinque stadi o periodi di crescita intellettiva, aventi diversi livelli di funzionamento cognitivo che si sviluppano durante il corso della vita. L’ordinamento di questi stadi è fisso e universale malgrado si rilevino delle differenze individuali determinate da fattori culturali e ambientali. I programmi “Ermini” prevedevano il livello di istruzione che l’alunno doveva  raggiungere, per assicurare a tutti la formazione ed il carattere necessari alla partecipazione alla vita della società. Alla scuola elementare si attribuiva dunque il compito di fornire gli elementi essenziali della cultura e di educare le capacità fondamentali dell’uomo. La scuola elementare doveva realizzare la «formazione integrale della persona», con particolare enfasi sulla creatività, il sentimento e la fantasia dell’alunno. Contestualmente i programmi Ermini avrebbero dovuto de fascistizzare l’istruzione. Erano passati dieci anni dalla fine del conflitto e l’Italia era entrata in una fase di normalità istituzionale. La Costituzione repubblicana in parecchi articoli tratta il tema dell’istruzione e le forze politiche che governavano il Paese pensavano fosse giunta l’ora di dare una svolta ai programmi della scuola elementare lasciando un tracciato storico ancora gentiliano. Quelli in atto, che pure godevano di un notevole apprezzamento, non si ritenevano abbastanza in linea con la nostra tradizione culturale. L’insegnamento poi della religione, ma ancor più la visione educativa generale, verranno sostenute e saranno la base di questi nuovi programmi che, pur con qualche piccola variazione, resteranno in vigore per trent’anni. Un aspetto altrettanto importante era rappresentato dall’esigenza di integrare nell’ambito della società i ragazzi che avevano riscontrato evidenti limiti nel loro percorso scolastico. La progressiva attuazione dei dettati costituzionali in materia scolastica si realizzò man mano nel tempo. L’articolo 38, comma 3: «Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale», trovò applicazione nelle Scuole speciali e nelle Classi differenziali. Già con la circolare ministeriale del 1/03/1953 n. 771/12 si parla di queste scuole nelle quali vengono «accolti gli alunni tardivi, nervosi e instabili i quali rivelano inadattabilità alla disciplina comune, ai normali metodi e ritmi d’insegnamento e possono raggiungere un livello normale solo se l’insegnamento viene ad essi impartito con metodi e forme particolari». Con una successiva legge del 24/07/1962, n. 1073 si provvide ad estendere questo tipo di scuole in maniera più capillare, toccando anche i piccoli comuni. Un passaggio questo davvero importante dal momento che mai in precedenza si era voluto affrontare questa tematica, importante anche perché coincideva con un disagio giovanile evidenziato anche dalle difficoltà sociali di integrazione del tempo. Un passo fondamentale nel cammino della scuola italiana fu l’elevazione dell’obbligo scolastico fino ai quattordici anni, con l’istituzione della Scuola Media Unica che  andava a sostituire la vecchia scuola media tradizionale dando accesso a tutti gli ordini di studi, e le scuole di avviamento professionale, che inserivano direttamente nel mondo del lavoro. La scuola media unica doveva attuare l’articolo 34 della Costituzione, che afferma l’obbligatorietà, per almeno otto anni dell’istruzione pubblica. rispondendo alle istanze di elevazione culturale della società, finalizzate ad una più ampia e consapevole partecipazione alla vita democratica del paese.  In questi anni di forzate riforme ne ricordiamo una più recente che nel 1969 toglie il privilegio al liceo classico, unico istituto da cui si poteva accedere all’università, estendendone l’accesso da tutti gli altri istituti. Tutti i diplomati potevano quindi iscriversi a qualsiasi università. Venne inoltre modificato l’esame di maturità, con due prove scritte e un colloquio su due materie, una scelta dallo studente e una dalla commissione, formata da un docente interno e da membri esterni. Da questo momento, inoltre, non sarà più necessario l’esame di ammissione alla prima classe del liceo classico per gli studenti del quinto ginnasio. Ovviamente una riforma che viene attuata gradualmente investendo il paese per due o tre decenni portava con se molti limiti di carattere attuativo, ma anche di contenuto soprattutto se riferito al l’evolversi del contesto sociale. Ovvio ricoprisse l’esigenza di indispensabilità, ma dalla fine degli anni ’60, questo modello iniziò ad essere criticato per la visione parziale dell’età infantile, sbilanciata sull’intuizione, la fantasia, il sentimento, a danno della componente cognitiva e razionale della personalità la figura del maestro unico, esperto in tutti gli ambiti della didattica elementare (linguistico e matematico) e l’impostazione filo-cattolica dei programmi, in contrasto con lo spirito della Costituzione che afferma la libertà di coscienza e di religione (ma non con i Patti lateranensi).In quei decenni più che ai mezzi e ai metodi, si fece affidamento alla «responsabile libertà degli insegnanti e alla loro inventiva didattica», formula che sottolineava  un’alta considerazione per il corpo docente ma rivelava tacitamente una poca disponibilità ad un impegno finanziario ed organizzativo importante. Il settore dell’educazione dell’infanzia fino a buona parte degli anni Sessanta del Novecento era gestito in gran parte da istituti religiosi cattolici, anche la modesta porzione in mano ad enti pubblici era di fatto appaltata a questi. Le mutate condizioni culturali e sociali dell’Italia rendevano anacronistica questa situazione e la necessità di una scuola materna laica statale era un’esigenza sentita da molti. Con la legge n. 444 del 18.03.1968 lo Stato si prese cura direttamente dell’educazione dell’infanzia. Nella scuola elementare in virtù della legge n. 820 del 24.09.1971 si istituiva la sperimentazione del tempo pieno. Il paese cresceva e come detto cambiava con cadenza quasi quotidiana meglio sarebbe stato forse una riforma standard che per essere credibile avrebbe dovuto incontrare immediatamente le esigenze della società. L’Italia ebbe la una riforma a pezzetti, a volte rabberciata. Questo per un limite che ci portiamo dietro legato all’incapacità di programmare ed alla difficoltà di ragionare fuori dagli obblighi di legislatura. Questo non toglie il fatto che il nostro paese oggi abbia riformato la scuola proponendosi all’attenzione comunitaria con modelli validi. Il limite è sempre di carattere temporale perché una riforma scolastica non si trasformi nella traversata del deserto.