di Alessandro Claudio Giordano
Lo Stato italiano inaugurò la nuova politica scolastica con le riforme attuate da Vittorio Amedeo II di Savoia dal 1717 al 1727 che istituirono scuole laiche statali di diverso grado e un apposito "Magistrato" incaricato di vigilare contro la possibile ingerenza di ordini religiosi nella materia.
Erano i tempi del Regno di Sardegna e la principale priorità era l’alfabetizzazione su larga scala vuoi per difficoltà di carattere linguistico in aree come la Sardegna in cui la dominazione angioina aveva lasciato lo spagnolo o come il Piemonte per abitudine l’utilizzo del francese oltre ad una disastrosa analfabetizzazione che colpiva gli strati poveri ma anche medi della società. Cento cinquanta anni più tardi Michele Coppino, albese e ministro della Pubblica istruzione del primo governo Depretis, fece approvare dal parlamento il 15 luglio del 1877 in sostituzione della precedente normativa (il Regio Decreto del 13 novembre 1859 noto come legge Casati) ritenuto da molti pedagogisti del tempo piuttosto carente riguardo l'obbligo scolastico. Al di là delle necessità di poter disporre di una società culturalmente più autonoma, la nuova legge fu fortemente voluta dagli uomini della sinistra in quanto la ritenevano propedeutica all'estensione del suffragio popolare nelle votazioni politiche (fino a quel momento limitato al 2% della popolazione che ne aveva diritto per istruzione e censo). Le novità introdotte dalla legge Coppino furono paecchie. La principale consisteva nella chiara affermazione dell'obbligo scolastico che riguardava tutti i bambini di età compresa tra i sei e i nove anni ed era relativo alle prime due classi della scuola elementare (ma, con programmi relativi che avrebbero potuto essere svolti anche in tre anni). La norma tra l’altro indicava le sanzioni previste per quei genitori che non rispettavano i dettati della legge. La composizione della legge non aveva previsto l'insegnamento di materie religiose che vennero sostituite dallo studio di nozioni dei doveri dell'uomo e del cittadino nel rispetto ai dettami positivistici e laici della seconda metà del XIX secolo. La legge Coppino in ultimo demandava ai comuni il funzionamento della scuola primaria in quanto a loro spettava il reperimento delle strutture e delle risorse economiche necessarie al mantenimento dei maestri elementari. Seppure il Regno manteneva come base la legge Casati, la riforma Coppino interveniva sulla struttura e l’organizzazione scolastica. La scuola di base era fatta di quattro classi elementari. Le prime due obbligatorie, tuttavia non c’erano sanzioni per le famiglie che non portavano i propri figli a scuola. Inoltre il sistema risultava classista, poiché rendeva difficile l’istruzione alle famiglie povere. La legge pensata da Michele Coppino portava la scuola elementare a cinque classi (ancora oggi mantiene questa struttura) tre delle quali obbligatorie. Ma erano altri due i punti importanti della riforma: l’introduzione di sanzioni per chi non portava i figli a scuola e la totale gratuità per le famiglie. La legge Coppino si ispirò al movimento filosofico del positivismo. Collaborò al testo anche Aristide Gabelli che di questa corrente culturale era un seguace. Questo significa che la scuola era laica: venivano aboliti i direttori spirituali, l’insegnamento del catechismo e della storia Sacra. In compenso veniva introdotta l’Educazione civica, in modo tale da permettere agli alunni non solo di imparare a leggere, scrivere e far di conto, ma anche le regole della società in cui vivevano. Era comunque una legge figlia di quel Regno d’Italia in aperto contrasto con la Chiesa, dopo la conquista di Roma del 1870. Una legge non può cambiare una situazione sociale dall’oggi al domani. L’alfabetizzazione in Italia proseguì con un processo lento e graduale, durato ancora molti decenni nel XX secolo.
Tuttavia quella legge poneva le basi e soprattutto alcuni principi fondamentali: che dovesse essere obbligatoria e che dunque non solo fosse un diritto, ma anche un dovere e che dovesse essere gratuita, aperta a tutti, senza distinzioni. L’attenzione del legislatore era rivolta in primo luogo agli strati più bassi della popolazione, per liberarla dall’analfabetismo. In questi ritocchi non è menzionata la religione, si parla invece di “Nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino”. Questa omissione è stata variamente interpretata: c’è chi diceva che si era inteso mettere l’insegnamento religioso in secondo piano, a favore di un’educazione più prettamente civica, altri invece ritenevano che le vecchie disposizioni, ancora valide, non avessero bisogno di altre puntualizzazioni. Aristide Gabelli rappresentò il trait d’union tra la politica ed il mondo culturale. Già autore di un Metodo di insegnamento nelle scuole elementari d’Italia, nel quale si parla della necessità di insegnare una modalità di approccio al sapere che parta dalla percezione sensoriale dei dati concreti. Detti programmi si proponevano quindi in primo luogo l’obiettivo dell’acquisizione di un habitus piuttosto che l’apprendimento di nozioni libresche. Davano inoltre importanza all’educazione civica, alla ginnastica, al canto e alla musica. Nessuna traccia della religione, che costituiva materia facoltativa, per la quale lo Stato non intese intervenire. Sei anni più tardi e il ministro della Pubblica Istruzione, Guido Baccelli, avrebbe presentato al re i Nuovi Programmi per la scuola elementare, definiti dagli storici della scuola come Programmi del conservatorismo. L’Italia visse l’ultimo scorcio dell’Ottocento in una crisi profonda, alla quale le istituzioni risposero con una chiusura reazionaria che porterà ai noti tragici eventi, tanto per citare quelli più eclatanti, possiamo ricordare i moti di Milano nel 1898, la spietata repressione attuata dal generale Bava Beccaris e il tentativo, peraltro non riuscito, del Primo Ministro Pelloux (1898-1900) di esautorare il parlamento delle sue prerogative. Il regicidio del 1900, avvenuto durante il governo del moderato Saracco, sembrò far precipitare l’Italia in una spirale di insurrezione e repressione, che per fortuna non si verificò. Michele Coppino proseguì la sua carriera politica praticamente fino alla fine della propria esistenza. Uscì dal governo nel 1888, quando salì al potere Crispi, per contrasti col nuovo presidente del consiglio. In questa nuova fase, da semplice parlamentare, riuscì a dedicare tempo per un’altra importante opera: la nascita di quella che oggi ad Alba viene chiamata Scuola. Era l’alba del secolo in cui le masse entrarono definitivamente nella storia e Michele Coppino, nel suo piccolo, contribuì a questo processo. La notorietà di Coppino è legata soprattutto alla legge del 1877, che porta il suo nome e introduce in maniera più decisa l’obbligo scolastico. L’articolo 1 nella sua prima parte così recita: “I fanciulli e le fanciulle che abbiano compiuto l’età di sei anni, e ai quali i genitori o quelli che ne tengono luogo non procaccino la necessaria istruzione, o per mezzo di scuola private ai termini degli articoli 355 e 356 della legge 13 novembre 1859, o coll’insegnamento in famiglia, dovranno essere inviati alla scuola del comune..” Coppino ebbe più incarichi governativi. Nuovamente ministro dell'istruzione nel Governo Depretis III, Governo Depretis V, Governo Depretis VI e Governo Depretis VII, oltre che nel Governo Crispi I tra il 1884 e il 1888: in questo periodo varò alcuni provvedimenti significativi, tra i quali il sostegno economico agli insegnanti, l'ordinamento degli asili d'infanzia e dell'istruzione classica e la legge sulla conservazione dei monumenti antichi. Dimessosi l'8 febbraio 1888 per la bocciatura di un disegno di legge sulla conservazione del patrimonio artistico, Coppino restò tuttavia fedele a Crispi, supportando il suo programma di conquiste in Africa, ma all'avvicinarsi della crisi di fine secolo, che vedeva un pericoloso restringimento delle libertà politiche e individuali, non esitò a passare dalla parte di Giuseppe Zanardelli, verso il quale si concentravano le speranze dei liberal-democratici. In fondo mantenne le prerogative del suo impegno politico realizzando una vera e propria rivoluzione, unica nel genere, in campo educativo a cui tutti dovremmo dare grande merito.