La riforma scolastica nel Regno di Sardegna

di Alessandro Claudio Giordano

 La scuola ha rappresentato per secoli il punto dolente di una società sbilanciata in cui  la cultura intesa  come misura di  auto difesa per la gente  comune era debole ed inutile e diffficile era  sopravvivere alla quotidianità ed alle diseguaglianze sociali.

La storia riformista della fine del seicento ed inizio  settecento  dell’allora Regno di Sardegna passano attraverso le azioni  ed i  progetti di  Vittorio Amedeo  la cui idealità riformista  è riconosciuta  da tutti. Un re questo che riuscì a riassumere speranze e delusioni, sconfitte e vittorie  di un intero casato. Fu un po' il “re del riscatto”. Seppur nel 1690 fu travolto presso Staffarda dal maresciallo di Francia Catinat   e su ordine di Luigi XIV, il Re Sole, nel 1706 gli   assediarono Torino, salvata solo dall’arrivo di Eugenio di Savoia con un esercito imperiale, ebbe margini per recuperare le posizioni perdute. Così con la pace di Utrecht, nel 1713 Vittorio Amedeo II ebbe la corona di re di Sicilia. Modernizzò lo Stato, anche dopo il cambio dell’isola del Sole con la Sardegna, meno appetita e meno rischiosa investendo molto nell’organizzazione scolastica. Al loro arrivo i piemontesi si ritrovarono a dover governare un’isola che presentava una situazione economica, amministrativa e culturale tutt’altro che florida. Le lingue parlate erano il sardo, adoperato nella quotidianità, e il castigliano, utilizzato nell’amministrazione. Una forte riforma scolastica era la base di intervento sulla società che avrebbe dovuto uniformarsi anche linguisticamente e cercando di colmare quelle sacche di analfabetismo presenti sia in Piemonte che in Sardegna. Così la scuola ha di fatto rappresentato per molti anni l’elemento centrale su cui si è più dibattuto in epoca moderna. Per Casa Savoia fu addirittura una delle basi della riforma dello Stato. Una riforma che coinvolse tutta l’area di studio. Dalla primaria elementare all’università. Conservando intatte le prerogative illuministe presenti tra il sei ed settecento che avevano convinto Vittorio Amedeo II   ad affrontare il tema della scuola laica all’interno del Regno di Sardegna.

Così una serie di riforme attuate da Vittorio tra il 1717 al 1727 istituirono scuole laiche statali di vario grado e un apposito "Magistrato" incaricato di vigilare contro la possibile ingerenza di ordini religiosi nella materia. Vittorio Amedeo II non esitò a combattere il monopolio ecclesiastico dell'insegnamento restringendo i privilegi di quelle religiose, Fu un passaggio difficile per una riforma strutturata  necessaria.  Il re riorganizzò su nuove basi l'università di Torino che ospitava docenti di primissimo piano, riservando alle quattro facoltà l'esclusivo diritto di conferire lauree, e fondando un collegio delle provincie per gli studenti poveri. Alcuni decenni più tardi, nel 1769, voluta dal re sabaudo Carlo Emanuele III di Savoia, venne inaugurata la Scuola di Veterinaria di Torino la prima in Italia e la quarta nel mondo. Con la Rivoluzione francese si affermò poi una nuova concezione della scuola, che trovava la sua formulazione più chiara e completa nel Rapport et project de décret sur l'organisation génerale de l'Instruction publique, redatto da Condorcet nel 1792 e presentato all'Assemblea Nazionale a nome del Comité d'instruction publique L'istruzione primaria vi era concepita come pubblica, obbligatoria e gratuita. Tutti i cittadini, sia maschi che femmine, dovevano accedervi. Per i livelli superiori non doveva esservi invece uguaglianza dell'istruzione, perché la scuola stessa avrebbe selezionato e valorizzato i talenti, ma uguaglianza di opportunità. La scuola, bandendo qualsiasi insegnamento religioso, doveva essere laica, basata da una parte sulla trasmissione di capacità professionali utili, contenuti verificabili e metodi razionali e dall'altra sulla formazione civile. Il modello francese fu preso come riferimento in buona parte d’Europa e declinato nelle forme più diverse. La direzione indicata da Condorcet rimase a lungo un punto di riferimento europeo, anche se non tutti i punti del suo progetto furono realizzati; in particolare l'ostilità verso la religione prima si attenuò e poi venne meno nei periodi termidoriano e napoleonico, che videro nascere quattro livelli di istruzione nettamente distinti: elementare, medio-inferiore, medio-superiore e universitario. Al livello medio-superiore, accanto alle scuole normali per la preparazione dei maestri e all'istruzione professionale, nacquero i licei. Nelle repubbliche giacobine italiane e poi nel Regno d'Italia e nel Regno di Napoli del periodo napoleonico la scuola cercò di modellarsi su quella francese. Nel 1810, invece, Gioacchino Murat decretò l'obbligatorietà della scuola primaria. Tornando al Regno di Sardegna, la successiva significativa riforma scolastica fu la cosiddetta Legge Casati. Approvata nel 1859 dal Regno di Sardegna, era una legge che esprimeva la cultura politica dei liberali piemontesi alla vigilia dell'unificazione politico-militare della penisola. L’obiettivo era di istituire  una scuola elementare articolata su due bienni, il primo dei quali obbligatorio. Dopo la scuola elementare il sistema si divideva in due: ginnasio (a pagamento) e le scuole tecniche. Nonostante le “scuole tecniche” permettessero il proseguimento degli studi alla scuola superiore e in alcuni casi all'università, il sistema risultava comunque classista, dato il fenomeno dell'auto-esclusione, che portava alla rinuncia agli studi i figli delle famiglie meno agiate. La sua applicazione, formale e sostanziale, nelle diverse parti del nuovo Regno d'Italia (r.d. 28 novembre 1861, n. 347) fu largamente eterogenea in quanto condizionata da particolari situazioni geografiche e da pesanti condizionamenti sociali: il principale consisteva nella necessità di impiegare i giovani e giovanissimi nel lavoro dei campi in relazione alle esigenze stagionali. Il dibattito politico-culturale in tema di scuola, tra cui spiccano le voci di Francesco De Sanctis e di Pasquale Villari sottolinea le arretratezze della situazione del Mezzogiorno. A dieci anni dalla promulgazione, il censimento del 1871 registrò una diminuzione dell’analfabetismo sul totale della popolazione in campo nazionale rispetto ai dati del censimento del 1861, passando da 781 analfabeti su 1000 abitanti del 1861 ai 729 analfabeti su 1000 abitanti del 1871, l'analfabetismo maschile diminuì da 744 a 670 analfabeti ogni 1000 abitanti e l'analfabetismo femminile da 837 a 789 analfabete su 1000 abitanti, con una diminuzione generalizzata degli analfabeti in tutte le regioni. I programmi scolastici vennero approvati dal ministro Terenzio Mamiani nel 1860. In in primo momento includevano fra le materie fondamentali la religione e si proponevano di assicurare un'alfabetizzazione culturale di base per tutta la popolazione. Alcuni anni più tardi vennero cambiati in base agli attriti tra Stato e Chiesa subirono una prima correzione che sacrificava lo spazio dedicato alla religione a favore dell'educazione civica. Quello della legge Casati era un paese in parte ancora diviso e ideologicamente frammentato. Questo di fatto ne rese difficile l’applicazione su tutto il territorio. Sarà la legge Orlando che alcuni anni più tardi limerà correggendo alcuni aspetti della precedente ed in forma più specifica interverrà in sede locale. Obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età, prevedendo l'istituzione di un "corso popolare" formato dalle classi quinta e sesta, che si innestava subito dopo la scuola elementare. Impose ai Comuni di istituire scuole almeno fino alla quarta classe, nonché di assistere gli alunni più poveri ed elargisce fondi ai Comuni con modesti bilanci. Nello specifico la legge Orlando limitava il corso elementare alle prime quattro classi e creava istituiva obbligatoriamente in tutti i Comuni con più di 4000 abitanti di popolazione, il corso popolare, una scuola di avviamento professionale, a conclusione della quale si conseguiva la licenza elementare. Questo provvedimento fu certamente il più importante e fu voluto fortemente da socialisti e radicali; d’altra parte evidenziò la mancanza di una scuola media, discussa già nella stesura della legge Casati ma mai applicata. Vennero stipulati nuovi programmi che sostituirono quelli conservatori del 1894 e l’indirizzo scelto fu quello di una scuola volta all’operatività. E’ di questi tempi  il dibattito sulla necessità di una scuola pubblica aperta a tutti oltre che una riorganizzazione del settore impiegatizio ossia personale amministrativo ed insegnanti. l'equalizzazione della retribuzione degli insegnanti della scuola elementare, innanzitutto in relazione alla bipartizione tra biennio inferiore e superiore, ma anche rispetto a diversi tipi di discriminazione, in base al sesso, al luogo di insegnamento (periferia, campagna, città) o quant'altro. La successiva legge Daneo-Credaro 4 giugno 1911 n. 487, votata durante il ministero Giolitti, trasformò in statale la scuola elementare, fino ad allora gestita dai comuni, ponendo a carico dello Stato il pagamento degli stipendi dei maestri elementari, così da poter disciplinare l'obbligo in modo più vigoroso anche in quelle realtà locali molto disagiate in cui in precedenza i bilanci comunali non avevano consentito una corretta organizzazione della scuola. La sua applicazione fu problematica anche per il sopraggiungere della prima guerra mondiale. La legge istituì i patronati scolastici comunali, già previsti da un Regio Decreto del 1888 ma non istituiti. Un organo con il compito di dispensare vestiario, scarpe, libri (magari da restituire in buono stato) ai "fanciulli bisognosi" per consentire l'adempimento dell'obbligo scolastico. Pur essendo un provvedimento teso all'avanzamento culturale della cittadinanza, era insolvente verso la situazione del Mezzogiorno, non disponeva dello stesso numero di insegnanti del Nord e non risolveva il problema strutturale dell'analfabetismo diffuso. Quella scolastica è stata l’incombenza di maggior peso dell’Italia sabauda ed anche di quella che unì il paese. Limiti politici ma anche problemi di ordine e diseguaglianza sociale che solo nei decenni successivi il secondo conflitto mondiale verranno superati  con un concorso tra riforme e sviluppo sociale sino a dare attualità alla scuola di oggi, migliorabile certamente con buoni progetti se interpretati guardando al futuro.