Carrozze, cavalli e nobiltà

di Alessandro Claudio Giordano

Sembrerebbe quasi paradossale  trattare di un casato tanto importante come quello sabaudo partendo  da ciò che in epoca moderna era seguito ed apprezzato. Ossia l’uso della carrozza e come questo negli anni sia diventato un termine importante di paragone.

Ai più in epoca post medievale la corte sabauda sembrava essere ingessata. Tanto che un mercante fiorentino chiamato Baccio Tinghi giunse a Torino durante l’inverno del 1564 rimanendovi da febbraio al giugno 1564 per conto della casa Capponi di Lione. Suo obiettivo era di proporre al duca Emanuele Filiberto un progetto di sfruttamento dell’estrazione del sale, rilevò lungaggini nella nascente burocrazia sabauda che evidenziò nell’ambiguità dei cortigiani torinesi. Nelle sue memorie sono raccolte delle impressioni di viaggio dell’uomo d’affari toscano in cui  probabilmente l’orgoglio dello spirito mercantile che gli veniva da una terra assai diversa dal mondo sabaudo. La Torino da lui descritta gli sembrava troppo ingessata nei rituali e troppo legata ai convenevoli di una nobiltà feudale. “La cortigiania mi straccava tanto le gambe che io tornavo sì presto a casa che io avevo bisogno più di dormire e riposarmi che di scrivere”. “In questa corte non si può negoziare, perché questi traditori non vogliono né favellare né vedere chi ha di bisogno e si starà lì bei tre o quattro giorni innanzi che ti vogliono ascoltare…”, il mercante toscano prendeva in giro la corte di Emanuele Filiberto fuori dal tempo. Nel maggio del 1775, due secoli più tardi il filosofo svizzero Johann Georg Sulzer si trovava in viaggio a Torino, per lui  una delle più belle città d’Europa , e qui assisteva alla partenza della corte da Palazzo Reale per la Reggia di Venaria. «Le cortège n’étoit point sans éclat et annonçoit unecour accoutumée à une certaine magnificence», scriveva nel suo diario di viaggio. “Les rues étoientremplies de spectateurs et les carrosses qu’occupoit la Famille Royale étoient escortés par des gens  à cheval, des écuyers, des pages et des gardes, tous en habite de cérémonie”.In queste poche parole l’entusiasmo nell’assistere ad una cerimonia tanto sfarzosa. Ecco due fotografie di epoche differenti e di come la corte sabauda è cambiata ed aveva saputo cambiare. La visione del mercante non era così lontana dalla realtà di una corte difficile da conciliare con la quotidianità del tempo, attuale per quel momento lo sfarzo che accompagnava la corte nel lasciare Torino per la Venaria. Già la “carrozza”, questo era il simbolo della nobiltà tra il cinque e settecento. Nate in Ungheria nel XV secolo, le carrozze s’imposero a partire da metà XVI come uno degli elementi tipici della civiltà delle corti seppur con grande difficoltà, testimonianza ne sono gli atti del Parlamento di Parigi che de 1563 chiedeva di vietarne l’uso in città e nel 1564 papa Pio IV le proibì ai cardinali, esortandoli a tornare a cavalcare. Ancora a fine secolo, il re di Francia Enrico IV possedeva una sola carrozza. Ed alla corte sabauda? Nel Cinquecento l’uso delle carrozze era ancora raro da queste parti. Quando nel 1545 il giovane Emanuele Filiberto si trasferì al servizio di Carlo V, i conti di viaggio parlavano di chayere e leictere (portantine e lettighe), ma non di carrozze. Ne avrebbe disposto di una con cui avrebbe raggiunto le Fiandre per poi utilizzarla negli spostamenti nell residenze fuori Torino. Ecco però che durante il ducato del figlio Carlo Emanuele I le carrozze si diffusero ampiamente anche alla corte sabauda, così come nelle principali corti italiane. L’aristocrazia della capitale le usava normalmente ed sin dal 1584 il Consiglio di Torino aveva dovuto ordinare la sternitura con mattoni e calcina di via Dora Grossa perché «le carrozze e le cavalcate potessero comodamente andarvi e nel 1603 dovette deliberare l’ampliamento di una strada per consentire il passaggio della carrozza del Gran cancelliere di Savoia. Proprio in quello stesso 1603 Carlo Emanuele I accolse in carrozza il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, che era venuto in Piemonte, per concludere gli accordi sul matrimonio di suo figlio con Margherita di Savoia. Non è banale trattare di carrozze raccontando della corte sabauda. Perché questo era nel sei settecento il “must” per le corti europee. Simbolo di ricchezza e soprattutto di come di guardava al futuro. Sino a quel tempo erano le corti dei destrieri e di abili cavallerizzi e cavallerizze amanti della caccia. A metà Settecento la corte sabauda era considerata una delle più antiche e raffinate d’Europa. Il suo cerimoniale, frutto di secoli d’evoluzione, era un connubio tra riti asburgica e, in parte minore, francese. I sovrani seguivano le regole con un’attenzione tanto maniacale, da essere persino noiose. La maggior parte delle cerimonie di corte era riservati ai suoi membri e, quindi, non era visibile alla popolazione. Per questo, riti pubblici, come le uscite in «gran gala», erano uno dei rari momenti in cui la corte si mostrava al suo esterno. Lo splendore delle carrozze finiva, quindi, per esser immagine di quello della corte stessa. La gestione delle carrozze di gala e di quelle da viaggio richiedeva una manodopera specifica, raccolta nella Regia scuderia, una delle tre principali parti della corte (Casa, Camera e, appunto, Scuderia) e dipendeva dal Grande scudiere e, in subordine, da un Primo scudiere e da un numero variabile di scudieri “a quartiere”.

In buona sostanza, numeri alla mano a libro paga della corte c’erano ventitrè cocchieri, ventiquattro garzoni da carrozza e ben setti conducenti di sedie. Si trattava di un personale ben pagato. Negli anni Settanta, il cocchiere del re percepiva quasi 600lire all’anno. Il cocchiere del principe ereditario ne percepiva 650. Gli altri guadagnavano fra le 400 e le 450 lire di Piemonte: uno stipendio non disprezzabile, visto che un cappellano non superava le 300, mentre un ebanista uno scultore ne prendevano, rispettivamente, 300 e 200. Le principali occasioni in cui la corte usciva in Gala erano tre: il corso negli ultimi tre giornidi carnevale; il giro delle chiese che la regina compiva durante la Quaresima; gli ingressi di ambasciatori, cardinali o principi di case regnanti. In tali situazioni, il treno di carrozze di maggior splendore era quello della regina. Protagonista era il treno della regina (o, in sua assenza, della principessa ereditaria). Ad aprirlo era la carrozza degli scudieri delle principesse, seguita da quella del cavaliere d’onore della regina. Dopo di queste era la carrozza di parata, dove era la regina: ai due lati dei cavalli erano i paggi, mentre a lato della carrozza si trovavano le guardie del corpo, con i loro ufficiali in vicinanze delle portiere. Seguivano la carrozza di rispetto (rigorosamente vuota), quelle delle dame della regina e delle dame delle principesse. Un treno di almeno sette carrozze, che poteva giungere sino a dodici se erano presenti anche le principesse e le loro corti. Le carrozze erano le protagoniste di questi eventi e come già detto rappresentavano il livello, il lignaggio della corte stessa. Nell’ottobre 1770 la scrittrice inglese Ann Riggs Miller ebbe occasione di vedere la carrozza di parata della duchessa di Savoia in occasione di un’uscita di «mezza gala» per il corso al Valentino, e ne trasse un’ottima impressione ricordandola come la migliore tra quelle europee. D’altronde, dagli anni Settanta i carrozzieri piemontesi s’imposero progressivamente fra i migliori d’Europa, nel 1792, i critici dell’epoca scrivevano che “…le carrozze di gala che si fanno ora in Torino…, messe al paragone, non cedono a quelle che ci vengono d’Inghilterra e di Francia.” Molto più dunque di una semplice battuta o di una sorta di difesa del lavoro fatto in Piemonte. Diremmo piuttosto un veritiero attestato alla competenza, all’epoca rara, di artigiani che non lasciavano nulla al caso. Questo valeva tanto per la parte meccanica del mezzo quanto per quella decorativa. Una scuola che crebbe facendosi un nome e che aiutò la corte stessa a crescere per affermato buongusto e apprezzata visione ad un futuro declinato per lo più nella ricerca e sviluppo meccanico. Il merito dei Savoia è stato quello di alimentare questo cambiamento contraddicendo anche in parte quella sensazione di ritrosia al cambiamento cui ci hanno spesso abituati. Ed allora come direbbero “…avanti Savoia”. La corte si compone di tanti aspetti più o meno importanti, che sfugge all’attenzione ma che rappresentò un punto di partenza importante per la crescita del casato.