Elena: la Regina montenegrina

di Alessandro Claudio Giordano

 Il Casato sabaudo ha sempre annoverato Regine o principesse di carattere. Donne forti e caritatevoli, capaci di decisioni importanti ed una influenza politica non evidente ma continua e presente.

Si era detto della Regina Margherita, sposa di Umberto, ed fu così anche per la Regina Elena, comunque decisamente diversa per carattere e prerogative da Margherita. Innanzitutto Elena rinunciò allo sfarzo, prediligendo un'immagine più modesta Poi, al potere e alla politica tanto cari alla suocera l'aveva preceduta, Elena preferì i figli. “Prima di ogni cosa sono una mamma…”, era solita ripetere. La regina “straniera” iniziò a farsi amare dal popolo sin da terremoto di Messina che la vide attenta negli aiuti e nei soccorsi. La dedizione con cui aiuterà i terremotati, arrivando a lavare per ore i corpi dei cadaveri, le varranno un epiteto più gentile di quello riservatole da Hélène di Aosta: “la pietosa”. La famiglia fu il fulcro della vita di Elena. Paradossalmente dimensionando la quotidianità ad un livello quasi borghese poco apprezzato dalla Regina Margherita che, apostrofò più volte le nipoti dicendo “…sembrano delle massaie, non le figlie di un re.” I rapporti tra le due furono spesso distanti al punto di diventare scontro quando Iolanda una delle quattro nipoti (le altre erano Mafalda, Giovanna e Francesca) anziché accettare la corte del principe di Galles ed i consigli della nonna decise di sposare il conte Giorgio Calvi di Bergolo, affascinante ma povero in canna. Margherita presenzierà a quel  matrimonio ma comunicherà alla nipote di non volerle più rivolgere la parola. A dividere le due donne c'era anche la politica. Margherita ha sempre visto di buon occhio l'ascesa di Mussolini, anzi si racconta che fu lei a persuadere il figlio a non far intervenire l'esercito quando il Duce marciò su Roma, convinta che Mussolini avrebbe protetto non solo la nazione ma anche quel re così debole. Se la suocera si spinge a dichiarare al Popolo d'Italia “Per il bene che ha fatto per l'Italia, ho per il Duce una viva simpatia, un affetto materno”. Elena invece si è sempre rifiutata di rivolgersi a lui chiamandolo Duce. Ed ad una parata, vedendo come il Duce stesse minimizzando l’opra del consorte marito sbottò “….Si ricordi che in Italia esiste ancora una monarchia”. Sbaglieremmo a dar poco peso alle origini di Elena che era la sesta figlia di re Nicola I del Montenegro e di Milena Vukotić. Cettigne era allora la modesta capitale del Montenegro, infatti era poco più di un borgo di montagna, abitato da pastori. Elena studiò nel collegio Smol'nyj di Pietroburgo e frequentò la corte degli Zar. Scriveva poesie che pubblicava con  regolarità su una  rivista letteraria russia. Nicola I imparentò tutte le figlie con le diverse corti reali europee. La principessa Elena fu destinata alla Casa reale d’Italia, per un motivo anche curioso, un accordo tra la Regina Margherita e Francesco Crispi (di origini albanesi). Così vennero decise le sorti dell’unico figlio, Vittorio Emanuele, principe di Napoli. L’incontro tra i due giovani pare avvenne al teatro La Fenice di Venezia, in occasione dell'Esposizione Internazionale d'Arte. Vittorio Emanuele dopo un altro incontro, questa volta in Russia chiese la mano di Elena che abiurò la religione ortodossa, per potersi unire in matrimonio con il futuro re d’Italia.

Le nozze, molto sotto tono a causa della recente sconfitta di Adua, furono celebrate il 24 ottobre 1896: la cerimonia civile si svolse al Quirinale, quella religiosa in Santa Maria degli Angeli, alle quali la madre di Elena non partecipò, in forma di protesta all’abiura religiosa della figlia. Elena comunque era stata educata ai valori della famiglia e questo fu l’imprimatur che diede a tutta la sua vita. Quando nell’agosto del 1900 di re Umberto I, Vittorio Emanuele salì al trono, ma la presenza di Elena accanto al sovrano si mantenne sempre umile e molto discreta, non fu mai coinvolta in questioni strettamente politiche, ma fu sempre vicina ed attenta ai bisogni del popolo adottivo, che fece suo in tutto e per tutto. Si impegnò in numerose iniziative caritative e assistenziali, che la avvicinarono alla gente comune regalandole simpatia e popolarità. La Regina andò ben al di là della semplice beneficenza. Ogni giorno il corriere recapitava a Villa Savoia una grande borsa di cuoio, chiamata “la bolgetta”, carica di lettere. Umili  o semplici richieste di aiuto che  in gran  parte trovavano una soluzione.  Concretamente per tutta la durata dell’inverno venivano aperte le cucine a Sant’Anna di Valdieri e a Trinità nella Valle Gesso. A tutti gli abitanti erano distribuiti minestra, pane, carne, formaggio, marmellata e medicinali. Un’infinità di giocattoli uscivano da casa Savoia e venivano indirizzati a tutti i bambini. Per non parlare degli indumenti. Metri e metri di armadi rivestivano i sotterranei della Villa: si trattava del «deposito dei poveri». Qui erano riposti vestiti per adulti, biancheria per la casa, tessuti, corredini per neonati, culle, scarpe, cappelli, sciarpe, ombrelli, coperte... tutto perfettamente nuovo. Così come non c’era donna dell’aristocrazia sabauda che in quel periodo non lavorasse per la causa e l’estate sempre in Val Gesso apriva un ambulatorio per i malati. Per i casi più gravi, in cui era necessaria la cura del mare, i pazienti venivano ricoverati a Villa Helios a San Remo oppure erano mandati ai sanatori, dove le degenze durano mesi e mesi, a volte anche anni: tutto a spese di Casa Savoia. La regina aiutò la popolazione di Messina dopo il terremoto e maremoto del 1908. Fu protagonista e sempre in prima linea nell’aiuto ai più bisognosi. Durante la prima guerra mondiale fece l'infermiera a tempo pieno e con l’aiuto della Regina Madre, trasformò in ospedali sia il Quirinale che Villa Margherita. Poi reperire fondi, lei stessa inventò la "fotografia autografata" che venivano vendute sui banchi di beneficenza, mentre alla fine del conflitto propose la vendita dei tesori della corona per estinguere i debiti di guerra. Fu la prima Ispettrice delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana, dal 1911 al 1921. Studiò medicina e ne ebbe la laurea ad honorem; finanziò opere benefiche a favore degli encefalitici, per madri povere, per i tubercolotici, per gli ex combattenti. Era in buona sostanza una regina che si muoveva in forma autonoma e soprattutto fuori dagli schemi. Al popolo piaceva all’entourage sabaudo meno. Elena è sempre stata una figura piuttosto controversa, o meglio dire fuori le righe. Il papà l’avrebbe voluta consorte dello zar, ma in realtà un litigio a corte ne determinò  l’allontanamento forzato e l’addio ai sogni di gloria. Il matrimonio quello della vita sarà celebrato in Italia nel 1896 e saranno “le nozze con i fichi secchi”, termine coniato dai cronisti dell’epoca e dalle dame di corte sprezzanti per le origini della promessa chiamata da alcune “la bèrgere”.  Nozze povere? In effetti non così sfarzose, per colpa di? Di Adua. Si della sconfitta nella battaglia dove le forze italiane comandate dal generale Baratieri persero contro l’esercito di Menelik. Un duro colpo alle ambizioni imperialistiche.  Per  il resto  una  vita condotta  alla guida della  famiglia cercando di difenderla e  renderla stabile. Quando il 9 maggio del 1946 Vittorio Emanuele abdicò per il figlio Umberto, re per un solo mese, Elena segguì il marito in esilio. Prima da re Farouk in Egitto, dove il 28 dicembre 1947 Vittorio Emanuele morì stringendo tra le mani quelle della moglie. Malata di cancro, la contessa di Pollenzo, si stabilì a Montpellier, centro all'avanguardia nella cura dei tumori. Morirà lì nel 1952: prima di spirare chiese di essere sepolta in una tomba comune, senza fasti. Fedele a questo spirito, la nipote Maria Gabriella, terzogenita di Umberto, ha riportato alcuni anni orsono in Italia i suoi resti che riposano  al  Santuario di  Vicoforte,  poco lontano da Mondovì.

Un pezzo di storia sabauda è tornato a casa seppur in forma quasi clandestina. Al di là delle opinioni e delle scelte politiche queste poche righe servono a dar atto e testimonianza ad una donna che comunque ha rappresentato per  sua epoca un riferimento sia tra la nobiltà che per il quotidiano vivere  di  una società  in forte trasformazione,  tra monarchia, dittatura guerra e tanta precarietà sociale.