Tracce sabaude e francesi nella storia di Cuneo

di Alessandro Claudio Giordano

 In qualsiasi angolo del cuneese si rintracciano e si incrociano le vicende, la storia e la tradizione sabaude. Dovendo parlare d’influenza è importante ricordare che Cuneo ha acquisito dai d’Angiò, dai Savoia e dai vicini francesi.

In origine i Savoia, conti di Maurienne, un territorio della Savoia, si erano imposti a partire dal XI secolo in una zona di confine delle Alpi occidentali. La dinastia, grazie all’iniziativa sia del ramo principale, sia di quello cadetto dei Savoia-Acaia nei secoli successivi riuscì ad estendere il proprio dominio su altre terre intorno costituendo due stati feudali distinti: la contea di Savoia e il principato di Piemonte. Qui i Savoia vennero in contatto con altre casate: i marchesi di Monferrato e di Saluzzo, con cui ebbero negli anni violente schermaglie ed a volte contese militari. Il controllo delle vie di comunicazione e in particolare dei passi montani, favorì fin dall’inizio le relazioni economiche e gli scambi culturali tra la Francia e il Piemonte. Non va dimenticato che attraverso la valle di Susa e il valico del Moncenisio passava la Via Francigena, il cammino dei pellegrini che nel medioevo si recavano a Roma, i quali avrebbero potuto trovare rifugio nelle abbazie di Novalesa e San Michele della Chiusa ed ancora verso il Sud del Piemonte in coincidenza con i colli alpini cuneesi le cui mulattiere portavano verso il mare.

C’era così di che trattare e di che combattere. Dopo la sconfitta nella battaglia di Gamelario del 1345, Luigi D’Angiò decise con riluttanza di rinunciare alla sovranità sul Piemonte e cercò l’accordo con il Conte Verde. Intanto Cuneo ed i Savoia l’accordo l’avrebbero trovato nel 1377 quando i cuneesi si dichiararono aderenti ed alleati. Così quando il 10 aprile 1382, il Conte Verde radunò al Castello di Rivoli i rappresentanti dei centri più importanti dell’area chiedendo loro di giurare dedizione al casato sabaudo, c’erano anche i rappresentati di Cuneo la cui prima preoccupazione era stata di assicurare che i territori limitrofi a Cuneo ed i borghi vicini allo Stura ed al Gesso fossero mantenuti sotto l’egida della città e non lasciati al controllo delle famiglie o città importanti del territorio, Chiusa Pesio ad esempio ma anche Borgo San Dalmazzo. I Savoia non solo rinunciarono a questa pratica d’uso in epoca medievale, ma assicurarono un accentramento a Cuneo e questo fu il traino politico per la città. Da un punto di vista finanziario i cuneesi acquisirono una sorta di autonomia nella gestione di buona parte delle gabelle come ad esempio quella sul fuoco, o nucleo familiare, che per certi versi li aiutava. Perdeva la tassa sul sale in quota a Casa Savoia che ne esercitava riscossione e controllo. E perdeva una parte delle tasse di pedaggio verso la Francia nel tratto che attraversava la comunità di Borgo San Dalmazzo ad appannaggio dell’Abate. La rinuncia alla tassa sul sale penalizzava soprattutto per la posizione geografica di raccordo con la strada verso Nizza. Approssimativamente il carico tributario per i cuneesi veniva comunque alleggerito in una misura tra il 10 ed 15%. L’accordo passava poi all’impegno militare, già all’epoca Cuneo era più una piazzaforte che una città. E questo impegno non era maggiore di quello disposto dai d’Angiò in cambio del blocco di tutte le tasse. La struttura di governo cambiò poco nel passaggio dagli Angiò ai Savoia. I cuneesi entravano a far parte di una organizzazione amministrativa solida e collaudata in grado di garantire una stabilità politica molto rara in quel periodo storico. I Conti poi i Duchi eleggevano il Vicario, scegliendo in una terna proposta dal Consiglio Comunale. Difficile dire se i vantaggi superassero i limiti, o se ci fosse una sorta di compensazione. Diremmo che se un merito dobbiamo riconoscere al casato sabaudo è indubbiamente il piano di garanzie messo sul tappeto che attirò e convinse gli indecisi cuneesi che in fondo non avrebbero, almeno in apparenza, perso molto ed un aspetto rilevante che oggi riassumeremmo con atteggiamento “politically correct” che accompagnò tutta la trattativa.

Importante ricordare come le linee essenziali di questo trattato furono la base per i rapporti tra conti poi duchi di casa Savoia e Cuneo per molti anni. A conferma di questo è importante non dimenticare che il trattato fu rispettato nella sua essenzialità ed in sole due occasioni si registrarono atti di intolleranza nei confronti dei Savoia. Nel 1419, quando inaspettatamente i cuneesi dovettero “prestare” su espressa richiesta del comando militare sabaudo” venti balestrieri alla città di Ivrea e nel 1431, quando un gruppo di cuneese venne inviato a Santhià per presidiare il territorio dopo l’aggravarsi della crisi politica con il Comune di Milano. Queste scelte peraltro forzate, disattesero il trattato per il semplice fatto che i Savoia avevano sino ad allora garantito l’utilizzo dell’esercito cuneese sono per la difesa o il controllo della città. Furono scelte isolate segnate dall’emergenza. Questo non impedì le proteste della popolazione seppur tutto però si concluse nello spazio di qualche giorno. Cuneo visse comunque all’ombra di un dualismo franco sabaudo. Ne sono testimonianza alcuni assedi e scelte politiche coraggiose. Nel 1621 il gesuita Pierre Monod pubblicava a Lione un libro intitolato Recherches historiques sur les alliances royales de France et de Savoye, in cui sottolineava i «molteplici e rimarchevoli vincoli di queste due Casate», elencando diciannove casi di unioni matrimoniali, che a partire dal medioevo avevano suggellato le relazioni politiche e dinastiche tra la Corona di Francia e i Savoia. L’autore in buona sostanza intendeva dimostrare in questo modo l’antichità dei rapporti franco-sabaudi, proprio nel momento in cui Cristina di Borbone, figlia del re Enrico IV era diventata duchessa di Savoia, sposando Vittorio Amedeo I nel 1619. Detto questo le unioni matrimoniali non avevano tuttavia impedito che nel corso dei secoli la Francia si fosse scontrata più volte con i Savoia, diventati duchi nel 1416, questo perché la principale prerogativa della politica dell’epoca era di impedire alla corona francese di espandersi in territorio italiano. Cuneo pagò e fu più volte assediata per la sua fedeltà al casato sabaudo da parte francese nel 1542,1557,1639,1641 e nel 1691, poi ancora nel 1744 dalle truppe franco-spagnole, comandante dall’Infante di Spagna Don Filippo di Borbone. Cuneo crebbe e acquisì nel tempo la fiducia del casato sabaudo al punto che Emanuele Filiberto di Savoia scriveva nel 1557 ai cuneesi per ringraziarli del valore dimostrato durante l’assedio dei francesi: “Vi lodo per la costanza e fortezza degli animi, la concordia, l’unione, la vigilanza, la diligenza, la capacità di sopportare le fatiche e gli assalti, comportandovi da grandi, valenti e virtuosi uomini”. Nel gennaio del 1559, infatti, il duca firmò un diploma con il quale diede a Cuneo il prestigioso titolo di città e il privilegio di inserire, nello stemma comunale, anche lo stemma personale di Casa Savoia e il motto “Ferendo”.  Il 29 settembre 1560 Emanuele Filiberto venne in visita in città con la consorte, Margherita di Valois, si fermò diversi giorni. Ad accoglierlo un arco di trionfo, posizionato nei pressi dell’attuale Duomo, con su scritto “Cuneo fide par Sagunto, fortuna superior”. La frase, entrata poi nello stemma comunale, significa: Cuneo per fedeltà (ai Savoia) è pari a Sagunto (città spagnola che rimase fedele a Roma durante l’attacco dei Cartaginesi), ma come valore è superiore (perché Sagunto fu espugnata, mentre Cuneo resistette). Cuneo fu sabauda e francese e credo sarebbe riduttivo anche solo immaginare quale della due parti prevalga sull’altra. Diremmo allora che per quanto possibile la gestione amministrativa e l’architettura politica della città si sono sempre alimentate come nella migliore tradizione sabauda dalle mani di chi gestiva il territorio, traendone indubbi vantaggi. Anche se città pativa disagi sociali ed una sorta di prevalenza di uno status militare più che politico. Ed infatti la storia a Cuneo in età moderna la fecero i militari, leggi Federico Leutrum, e non i politici. L’architettura cittadina e la chiave per diventare città moderna fu un regalo del buon Napoleone che in base all’art. 70 della convenzione di Alessandria del 15 giugno 1800, decise di abbattere come conseguenza della vittoria a Marengo le mura cittadine. L’ordine specifico di Napoleone per le fortificazioni di Cuneo fu emanato il 4 luglio 1800, la Municipalità di Cuneo il 18 luglio ne approvava l’abbattimento che ebbe inizio cinque giorni. A settembre del 1801, le fortificazioni erano ormai solo un ricordo. “Così quella famosa fortezza che già esisteva da centinaia d’anni venne ridotta in un mucchio di rottami nello spazio di pochi mesi.” Di lì si aprì un nuovo futuro per Cuneo che uscì finalmente dalla cittadella cui era stata costretta per secoli, riorganizzandosi in viali e piazze. Il vantaggio di essere parte del limes, di essere terra di frontiera, consentì una maggior apertura ad una contaminazione culturale, più o meno taciuta dai cuneesi, ma che sempre hanno difeso come prerogativa di scelta: essere assolutamente legati al casato Savoia ma strizzare l’occhio al vicino francese con cui si è condiviso un percorso di lingua, tradizione e cultura. Nostalgia del drapeu? No non direi. Questa però è Cuneo, terra di frontiera, difficile e questo per fortuna, dare una etichetta o un marchio.