La diga, i boati ed il futuro

di Alessandro Claudio Giordano

 Sono passati tanti anni da quando nel 1954 nacque il primo progetto per l’utilizzo delle acque della Valle Gesso a scopo idroelettrico con un impianto che è ancor oggi il più grande del nostro paese ed il secondo in Europa.

Un’iniziativa questa, tanto importante da essere il punto di riferimento per rilanciare lo sviluppo economico del cuneese. Un progetto ambizioso, rallentato però dal fatto che gran parte del cantiere fosse in quota (quasi 2000 metri) ed agibile solo alcuni mesi l’anno. Il PCE (Piemonte Centrale di Elettricità) era un progetto del gruppo SIP (Società Idraulica Piemontese) e consisteva almeno inizialmente nella costruzione di altre dighe: una al lago del Vej del Bouc, una al Prà del Rasur, (con annessa centrale idroelettrica), una al piano del Valasco. Negli anni successivi venne via via ridefinito e nel ’69 acquisì le caratteristiche di oggi. La diga de Chiotas che è l’invaso principale con 30 milioni di m3 situato a quota 1980, e, subito a valle, a quota 1535, il lago della Rovina, con 1,2 milioni di m3. A completarlo, la preesistente diga della Piastra, terminata nel 1965, a q. 957 m con un invaso di 12 milioni di m3. Quest’ultima poi, era nata per alimentare la centrale di Andonno, verrà poi utilizzata per raccogliere le acque in arrivo dai bacini del Chiotas e del lago della Rovina e ripomparle a monte.

Nel 1970, le prime installazioni cantieristiche vennero allestite verso la diga del Chiotas con il compito di sbarrare il Torrente Bucera e contestualmente con la diga di Colle Laura. I lavori termineranno tra il 1978 e ’79 creando l’alternativa all’utilizzo delle centrali nucleari, bocciate poi Italia con il referendum del 1987. Sarebbe però inesatto dimenticare le difficoltà che il progetto incontrò negli anni ed una forte opposizione al progetto dei canali di gronda che avrebbero convogliato l’acqua dei rii dell'intera valle nelle dighe. Dopo anni di liti e battaglie politiche la soluzione fu la nascita del Parco internazionale delle Alpi Marittime. Così nel 1980 la Regione Piemonte istituì il Parco naturale dell'Argentera. Le istituzioni dell'area protetta fin dal subito avviarono un rapporto di collaborazione con Enel in differenti ambiti e tra questi la mitigazione di alcune opere e la rimozione di resti dei cantieri oltre che la salvaguardia ambientale ed oggi anche la promozione del territorio attraverso attività di carattere didattico e formativo. Il rapporto tra le istituzioni, i valligiani e l’Enel furono spesso difficili, vuoi per la tradizionale diffidenza per il “forestiero”, la ritrosia per lo sviluppo non compreso e dei precedenti certamente allarmanti di pochi anni prima, vedasi Vajont.  Sta di fatto che quando il 7 aprile 1966 due scosse intense provocano alcuni danni a Entracque e a Valdieri, per l’intera vallata è giustificato panico.

La colpa, non c’erano dubbi, era della diga dell’ENEL. Così, quasi immediatamente l’amministrazione comunale di Entracque chiese di arrestare l’immissione delle acque a partire dal 9 e la popolazione cominciò a riferire continui “boati sotterranei” che cessavano quando l’acqua non era immessa. Ovviamente in casi come questo la prudenza nelle valutazioni si scontra con improvvisati tecnici che sul campo traducono le sensazioni o i sentito dire, in fondamenti scientifici.

Così fu necessario l’intervento del Prefetto che chiese consulenze a dei sismologi interpellò diversi sismologi per render conto di questa anomalia. Nei giorni successivi fu collocata una piccola rete di sismografi, da Roma arrivò la Rai con TV7. In un clima di grande tensione il 15 aprile vennero sentiti ancora altri boati che provocarono molte proteste e la possibile “marcia sulla diga”.

 A tutto questo si aggiungeva il fatto che i geologi non erano arrivati e  mancavano quindi le visure sul territorio. In compenso si segnalava la marcata presenza dei curiosi che si muovevano in continuità verso la vallata. Con un po' di pazienza i geologi arrivarono in loco, i sismografi furono piazzati, ma la pressione dell’opinione pubblica continuò a crescere. Così il 1° maggio 1966, l’ENEL sospese per tre mesi l’attività di immissione delle acque. Ovvie le manifestazioni di entusiasmo” per la decisione presa ed anche se poco logica come deduzione la presunta ammissione di colpevolezza da parte dell’Enel. Di fatto con la chiusura della diga i boati diminuirono in numero ma non in intensità ma continuarono. Negli anni successivi vennero ancora registrati altri episodi così nell’ottobre del 1970 in Prefettura si discusse dell’eventualità di un supporto scientifico russo e nel 1977, vennero attribuiti alla diga ormai in funzione rumori correlati anche ad aspetti tellurici del terreno. Di fatto non si mai veramente capita la causa del problema. Semplicisticamente i capri espiatori sono stati la diga e l’impianto. Forse anche complice una sorta di reticenza per tutto ciò che di moderno poteva minacciare la vallata. Nonostante tutto questo, con il tempo, tra sfiducia e lamentele, i lavori ripresero. Le opere vennero concluse e le attività raggiunsero il pieno regime. I boati oggi sono parte della storia della vallata “di una storia” che ha retto comunque almeno un decennio. Oggi la diga è una risorsa per l’intera comunità valligiana ed un investimento per il futuro grazie a molti progetti di carattere formativo e di sinergie che sono state attrezzate proprio per far crescere l’intera area. In fondo investire nel futuro è un compito importante quanto decisivo.