Susanna Egri Erbstein: una protagonista della nascita della Rai

di Alessandro Claudio Giordano

Lo scorso 3 gennaio la Rai, Radio Televisione Italia, ha compito settant’anni. Era nata a Torino, dopo alcuni anni di sperimentazione per poi continuare, sviluppandosi, a Milano, Roma e Napoli. Di quel periodo, delle aspettative e dei progetti ne ho parlato con Susanna Egri Erbstein, prima ballerina e coreografia di quella Rai. Con lei abbiamo tracciato un quadro interessante e curioso su un momento che potremmo dire “storico” per il nostro paese.


D. – Mi racconti come lei ha vissuto il periodo di sperimentazione e successivo della Rai a Torino…
R. - Io credo di rappresentare davvero l'immagine vivente della storia della tv dal periodo sperimentale. Io danzavo solo per i torinesi assiepati in via Roma e ricordo la meraviglia di vedere questi due unici due apparecchi televisivi esposti nelle vetrine dei principali quotidiani di Torino La Stampa e la Gazzetta del Popolo. Ho danzato per l’inaugurazione ufficiale del primo studio sotto la Mole con il presidente della Repubblica Einaudi. Avevo danzato nel ruolo principale, scritto il soggetto e la sceneggiatura televisiva del balletto. Mio era il “il passo a due” che io ho creato apposta per quell'occasione l'ho danzato col mio partner americano Norman Thompson e in quel programma che si chiamava Sette Note che veniva realizzato a Torino e che finalmente si vedeva in tutta Italia. Ecco questo in poche parole è che cosa e sono stata io per la televisione di quegli anni.
D. – Danza e televisione come si sono incontrati?
R. - La Rai aveva iniziato la fase sperimentale a Torino proprio 1949. Anno terribile per me per aver perso mio padre nella tragedia di Superga. In e quel periodo la televisione cominciava i suoi primi esperimenti. Era importante capire quale linguaggio adottare per questo nuovo mezzo di comunicazione. Io avevo già avuto una piccola esperienza televisiva nella mia tournée precedente a Londra e Parigi dove avevo visto già in atto la televisione e capito che per il genere televisivo il linguaggio principe dovrebbe essere la danza perché come la tivu’ è immagine che regala movimento. All’epoca la mia esigenza era di far capire l'importanza della danza in un paese come l'Italia che la danza la escludeva da ogni cosa. Dare insomma la possibilità alla danza di entrare nelle case degli italiani che magari non erano mai andati in un teatro a vedere uno spettacolo ma poteva essere attratti e coinvolti da questa novità. In fondo la danza è espressione di un’epoca. Io, di origine ungherese posso confermarle che l’ Ungheria è un paese in cui la danza fa proprio parte del della società in tutte le sue forme sia come danza popolare sia come danza di elite tanto la danza tradizionale cioè quella teatrale. La danza fa parte delle nuove tendenze e dei nuovi linguaggi del novecento come più in generale sono tutte le arti.
D. – Quanto la sua esperienza l’ha aiutata?
R. - Negli anni ho potuto assorbire tutto ciò che esisteva nell'ambito della danza sia colta che popolare, e questo per me è stato un grandissimo patrimonio quando poi subito dopo la guerra, sono tornata in Italia e anche mio padre é tornato a Torino riprendendo in mano le redini del Toro, fino a renderlo quella squadra ineguagliabile grande Torino che è entrata nella leggenda. Ed io ho cercato di mettere a frutto tutto quello che avevo assimilato negli anni dell'adolescenza studiando in Ungheria a cui poi ho aggiunto tutte le esperienze una volta libera di girare il mondo: E le dico l'ho girato da dagli Stati Uniti alla Russia e tutta l'Europa per acquisire tutto quello che si poteva in quest'ambito.

D. – Com’era la tivù dei primi anni?
R. - Agli inizi la televisione era diretta da gente di teatro. In particolare Sergio Pugliese che era uno scrittore, commediografo e veniva dal teatro. Quindi aveva avuto la percezione di quanto i la danza come linguaggio potesse essere uno dei linguaggi più comunicativi di questo nuovo mezzo. E così è stato almeno inizialmente. Infatti è lui che mi ha dato carta bianca nel nell'inserire la danza in tutte le possibili programmazioni. Quando è nato quello che è stato chiamato il primo rotocalco televisivo c'era Furio Colombo come direttore e poi c'era Vattimo si occupava di collegare i pezzi del programma. Il mio programma si chiamava “Carnet di ballo” e infatti non si ballava nel senso tradizionale ma si considerava la danza da un punto di vista sociale.
D. – La sua esperienza in Rai è legata anche alla creazione di tre lavori importanti…
R. - Molto più avanti, direi tra il 1960 e ‘63 anni 60 Pugliese mi diede questo obiettivo di grande responsabilità chiamandomi e dicendomi “…senta Egri io voglio che lei inventi tre balletti, tre programmi c autonomi su un programma di mezz'ora circa con un tema un tema accessibile e comprensibile da tutti perché la televisione è per tutti non è per gente che ha scelto di andare a vedere quel dato tipo di spettacolo deve poter parlare a tutti. E vorrei che queste sue tre creazioni fossero programmate una ogni settimana in orario serale perché la gente cominci a capire che cosa può avere dalla danza…” Così con fantasia, esperienza ho trasformato lavori importanti nel mio. Utilizzando il soggetto ed inserendolo in un contesto di vissuto. Così la Boheme quindi preso da da merger ma ho trasferita con i suoi personaggi nella Parigi del dopoguerra la Parigi di Saint Germain, del caffè Flor di Juliette Gréco. Poi la Turandot trasferita nella Chinatown di San e poi La Cavalleria Rusticana inserita in una Sicilia degli anni cinquanta in cui si fronteggia la tradizione atavica siciliana con la Sicilia americanizzata dove i giovani erano intorno al jubox e ballando il twist.


D. C’era anche un aspetto sociale importante
R. - In quei balletti ho focalizzato la storia sempre sulla condizione femminile in una maniera del tutto avulsa da retorica, affidati ad una storia comprensibile. Ed uno di questi balletti, tratto da “Cavalleria Rusticana” è stato presentato al Premio Italia ed ha vinto.
D. - Con il tempo tutto è cambiato e Torino è diventata marginale. Ma io ho lavorato molto anche alla televisione di Milano e di Roma e ed a Napoli. Dagli anni ottanta non è più nata un'opera creata apposta per la televisione, un lavoro che avesse un suo inizio, svolgimento e conclusione nell'arco di una trentina di minuti.
D.- Comunque tutto è iniziato a Torino…
R. – Certo. E con rammarico posso dirle che oggi si si festeggiano i settant'anni della Rai che è nata a Torino e qui ci sono io che ho tutto questo background. Lei crede che ci sia nei giornali qualche riferimento al mio lavoro specifico? Nulla. Nonostante come le ho raccontato, io abbia contribuito alla creazione della tivù. Ho un ricordo di cui ho accennato all’inizio quel passo a due creato apposta per quella giornata ed una foto molto bella di un volo che faccio con il mio partner mi prende per aria…foto che conservo e che è un po' testimone del mio lavoro.