Se il sindaco di NY dice che i socials media sono il male

di Piero Giuseppe Goletto

La notizia del giorno è un attacco durissimo del Sindaco di New York nei confronti dei social media, definiti dal primo cittadino della metropoli americana una “tossina sociale” e nello stesso tempo l’emanazione di una legge dello Stato della Florida che proibisce l’accesso alle piattaforme ai minori di 17 anni. Legge che ci trova d’accordo.

Il forte cambiamento tra ciò che erano i social media dieci anni fa e ciò che sono oggi richiede di dedicare loro uno sguardo ampio e critico. Si è indebolito il modello delle comunità di interesse e delle comunità di pratica, che in linea di principio dovrebbe essere l’elemento costitutivo dei social media. In tempi passati, infatti, i social media furono determinanti nel creare dal nulla delle comunità. Citiamo a titolo di esempio il gruppo #sfigatidelsabatosera – che diede vita, in più di un’occasione, a eventi dal vivo – e il progetto #twittamidinotte che armonizzava in modo originale radio e social media.Entrambe le comunità giunsero a coinvolgere migliaia di persone – anche del mondo della cultura e dello spettacolo – in tutta Italia. Oggi si registra un’anomala prevalenza di processi “verticali” di influenza e di autorappresentazione ed è forse questo uno dei primi punti su cui riflettere. L’ autorappresentazione è apprezzabile quando denota competenza, capacità creativa (anche per fare intrattenimento o fare promozione commerciale), o adotta i toni di una gentile leggerezza. Fanno problema, invece, situazioni in cui l’unica posizione da parte di influencer o simili è di adesione puramente conformista, tanto quanto l’autorappresentazione modellata sul grande fratello catodico, che può arrivare a “impaginare” l’intera vita, snaturandola in qualche misura. Tutto ciò può avallare la pericolosissima idea che la propria identità sia costituita solo da ciò che gli altri, aprioristicamente legittimati a esprimere con troppa facilità drastigiudizi, vedono di noi o dall’adesione ad aspettative più o meno interessate. Forse è arrivato il tempo di scrivere nuove regole e “giocare da professionisti”.
Ad esempio: subordinare la visibilità al manifestarsi in cose interessanti o rilevanti, che apportano nelle forme più varie un beneficio.Qualità e rilevanza dei contenuti rappresentano il solo modo per avere ampio controllo della propria immagine pubblica e preservare la propria dimensione privata, che va ferocemente difesa.Nello stesso tempo, la pretesa delle piattaforme di farsi mondo pone l’esigenza di responsabilizzare queste ultime.Il peso commerciale, sociale e politico di personaggi che hanno un seguito di milioni di persone fa sì che questi facciano opinione semplicemente esistendo; dall’altro lato le piattaforme guadagnano dal coinvolgimento generato da questi personaggi. Ne consegue che il tema della responsabilizzazione delle piattaforme (e non solo degli influencer) deve essere affrontato.