Tra fantascienza, scienza e tecnologia

di Piero Giuseppe Goletto

L’astrobiologia è una disciplina nuova e serissima. Si tratta di una scienza che una scienza che studia l'origine, l'evoluzione e la distribuzione delle forme di vita nell'universo, cercando di scoprire se esistono forme di vita nate fuori dal pianeta Terra, partendo dal presupposto che la biologia su altri mondi funzioni come quella terrestre.

Questo ha precise implicazioni (alcuni elementi di facile e immediata comprensione: un pianeta che ospiti la vita deve avere acqua liquida; deve avere ossigeno e azoto nell’atmosfera; deve avere stagioni  e la biochimica deve basarsi su carbonio, idrogeno e ossigeno). La riproduzione dovrebbe avvenire, ad esempio, per via sessuale. Il pianeta che ospita la vita deve avere anche un campo magnetico e deve orbitare intorno a una stella la cui vita è molto lunga. Di sicuro, l’atmosfera di un pianeta che ospita la vita è molto riconoscibile: il grafico della rilevazione del Mars Express è eloquente.

Affinché un pianeta sia in condizione di ospitare la vita, infatti, occorre che la stella abbia una vita lunga (occorrono decine di milioni di anni) e che non vi sia emissione di radioattività. Le stelle giganti, quindi, potrebbero non essere adatte. Il Sole, di contro, è una stella nana la cui vita utile è prevista in 10 miliardi di anni.

Bel discorso, vero? C’è un enorme problema.

La Terra potrebbe essere il solo pianeta nell’Universo dove esiste attualmente la vita e soprattutto dove esistono esseri senzienti. Oppure, su altri mondi, la vita potrebbe esistere esclusivamente rappresentata da esseri estremofili, forme di vita che abitano zone con condizioni estreme (ad esempio temperature o pressioni estremamente alte o basse, alti livelli di radiazione, acqua contenente alte concentrazione di acidi o Sali).

I corpi celesti del sistema solare più interessanti per la ricerca della vita sono: Marte, perché si pensa che in passato fosse presente acqua allo stato liquido;  Europa, che probabilmente nasconde un oceano di acqua liquida sotto la spessa crosta ghiacciata; Titano, con un probabile oceano sotto la superficie, interessante per la presenza di un'atmosfera costituita da azoto per il 95%; Encelado, con geyser d'acqua ghiacciata e un probabile oceano sotto la superficie.

La vita extraterrestre è quindi un rompicapo. Lo è anche se passiamo ad analizzarla dal punto di vista fantascientifico.

I prodromi della fantascienza con gli “alieni” si collocano nelle opere di H. G. Wells e di Edgar Rice Burroughs, quest’ultimo con il Ciclo di Barsoom che ispirarono poi le Cronache Marziane di Ray Bradbury – a differenza dei racconti di Burroughs, quelli di Bradbury sono capolavori.

Il concetto di base di “alieno” o più propriamente di “extraterrestre” prevede che questa entità abbia caratteristiche antropomorfe; esseri con occhi, orecchie, bocca ed altri organi concentrati in una testa, cinque sensi (in particolare: la vista con le stesse caratteristiche degli esseri umani), quattro arti, il fatto che camminino, parlino, hanno mani.

In qualche caso, ciò implica fattezze incantevoli, ma ciò accade, per quanto ne sappiamo, solo in film comici di fantascienza: il caso tipico è “Ho sposato un’aliena” dove l’aliena è Kim Basinger. Del resto, se un’aliena si presentasse con le fattezze di Kim Basinger o Michelle Pfeiffer sarebbe accolta, senza problemi, in società.

L’alieno in generale recupera il tema del “diverso” e per alcuni versi è metafora della parte oscura di sé.

Negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, l’alieno cristallizza fobie sociali (la minaccia comunista e l’attacco nucleare) rappresentato o come “grigio” oppure come mostro con fattezze da insetto. Fondamentali sono film quali “l’invasione degli ultracorpi” o “la guerra dei mondi”. In quest’ultimo caso le fattezze degli alieni, provenienti da Marte, presentano affinità con i polpi e con Chtulhu, entità presente nei racconti di Lovecraft.

Ci sono però anche racconti e romanzi di fantascienza dove il tema del contatto con esseri alieni viene visto – a parere di chi scrive con notevole realismo – come un delicato esercizio di diplomazia il cui scopo è garantire una fruttuosa e pacifica coesistenza tra gli uomini e quelle altre civiltà. Ci pare anche di cogliere una metafora delle relazioni internazionali tra civiltà i cui sistemi culturali e valoriali sono diversi dai nostri.

Il mito dell’alieno cambia dopo 2001: Odissea nello Spazio e con Star Trek, che è in realtà forse la narrazione fantascientifica più ottimistica mai esistita. Tra gli elementi chiave di questa narrazione vi è che la Terra, nel 2063, è abitata da diverse razze aliene che si sono integrate pienamente con noi terrestri. Se questo serve alla costruzione delle storie, il vero messaggio pregnante è un altro.

E’ molto significativa, ad avviso di chi scrive, una frase di Gene Roddenberry, ideatore e showrunner di Star Trek, secondo il quale l’universo offre “infinite diversità in infinite combinazioni” e l’inclusione deve essere dimostrata nei fatti, come gli stessi autori di Star Trek hanno dovuto imparare nel corso del tempo migliorandosi.

Nel 1977 Steven Spielberg, con Incontri ravvicinati del terzo tipo, propone suggestioni democratiche e forse toni messianici, offrendo poi spunto per un film come Contact (scritto dall’astronomo Carl Sagan).

George Lucas, con Guerre Stellari, crea un mondo fantasy in un contesto solo apparentemente futuristico. In realtà tutta la saga di Star Wars è ambientata “tanto tempo fa, in una stella lontana lontana”. La saga di Alien di contro ripropone l’alieno mostruoso e ostile, con comportamenti da vampiro.

ET (1982) è un bambino dello spazio, e forse il messaggio del film riguarda anzitutto il bimbo che è in noi.

Il tema degli alieni diventa poi con The X Files motivo per affrontare il tema dei complotti, molto diffuso negli anni ’90 negli Stati Uniti.