di Piero Giuseppe Goletto
Vogliamo ritornare su un tema importante: lo smart working. Lo facciamo perché intuiamo che, con l’uscita dall’emergenza, ci si dovrà porre il problema di come servirsene al meglio.
Oggi, come abbiamo avuto l’occasione di scrivere già un anno fa, lo smart working che si fa oggi non è che degnissimo telelelavoro, introdotto per garantire la continuità aziendale, in un contesto di emergenza planetaria.
In realtà lo smart working (lavoro agile) è presente nell’ordinamento italiano già dalla legge numero 81 del 2017, con cui si è voluta disciplinare la possibilità di lavorare in parte all’interno ed in parte all’esterno dei locali aziendali, senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro, eventualmente utilizzando strumenti tecnologici.
L’accordo che regolamenta lo smart working può essere a tempo indeterminato o soggetto a scadenza, è su base volontaria e deve regolamentare i seguenti aspetti: esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro; tempi di riposo del lavoratore e diritto alla disconnessione; strumenti tecnologici e di lavoro utilizzati dal dipendente; comportamenti sanzionabili livello disciplinare; diritto all’apprendimento e alla formazione permanente. Importantissime sono le tutele della separazione tra la sfera professionale e la sfera privata (cosa esplicitamente richiesta dal Garante Privacy), le regole precise su durata massima della prestazione lavorativa, tempi di riposo, assenze e diritto alla disconnessione.
Adesso che abbiamo offerto un cenno sulla normativa che regola lo smart working, quello vero, ci preme osservare che questo va inserito entro una strategia di gestione per obiettivi, in uno schema organizzativo che renda centrale la collaborazione e la comunicazione sia tra i capi e i collaboratori sia all’interno del gruppo di lavoro. Nè tanto meno lo smart working potrà essere il solo modo con cui lavorare. Lo smart working affianca il lavoro in ufficio, nei casi in cui è possibile, modalità di cui servirsi in specifiche circostanze. Così come si fa il piano ferie, si dovrebbe poter fare il piano smart working, piano che si farà - presumiamo - settimanalmente, quindicinalmente o mensilmente.
Tutti questi metodi concretizzano l’idea alla base dello smart working: accrescere la produttività conciliando la vita personale e il lavoro, partendo dal presupposto che il lavoratore, da casa, possa dedicarsi pienamente alla propria attività, aumentando, anzi, la produttività rispetto alla classica giornata d’ufficio. Tutto questo va fatto, certamente, coordinandosi con le altre funzioni aziendali, con i colleghi del proprio team, con le esigenze imposte dal servizio al cliente interno o esterno.
Insistiamo molto sul tema della comunicazione o meglio della dimensione sociale legata al lavoro. Non stiamo parlando della pausa alla macchinetta del caffè. Stiamo parlando della pura e semplice opportunità di risolvere problemi parlandosi faccia a faccia. Stiamo parlando della “connessione umana”, la cui banda è molto più ampia della banda ultralarga, perché è connessione tra i cervelli.
Le carenze nella comunicazione e l’isolamento, sono tra le principali criticità emerse in questo periodo di emergenza. L’isolamento sociale e lo “sfilacciamento” del contesto lavorativo, che avvengono nella presente congiuntura, non sono una conseguenza dello smart working e sono anzi un elemento da evitarsi perché il valore aggiunto scaturisce dalla collaborazione vissuta e partecipata tra i lavoratori. La tecnologia non può sopperire alla frequentazione fisica delle persone sul posto di lavoro.