"Cronorifugio"

di Alessandro Claudio Giordano

 Ci sono molti libri curiosi. Alcuni lo sono semplicemente per il titolo, altri per la trama, altri per il protagonista che si muove tra le pieghe delle pagine sorprendendo il lettore.

Poi ci sono quei libri che l’autore rende curiosi per una serie di incastri che all’apparenza lo renderebbero difficile, ma che diventano però indispensabile per capire che con lui, l’autore, hai ingaggiato una gara che nel caso di “Cronorifugio” rappresenta l’allertarsi sul valore, sulle insidie, ma anche sulle sfide della memoria personale e, soprattutto, collettiva. L’autore, Georgi Gospodinov, uno scrittore bulgaro ci guida ad un confronto con un paradosso di quest’epoca nella quale il flusso e l’accumulo di dati, informazioni e nozioni usa e getta, ci fa sentire padroni, mentre siamo inconsapevoli di quel che siamo stati e di quello che non riusciamo a essere. Gaustìn è un bizzarro personaggio protagonista che vaga nel tempo, inaugura a Zurigo una "clinica del passato" dove accoglie quanti hanno perso la memoria per aiutarli a riappropriarsi dei loro ricordi. Ogni piano dell'edificio riproduce nei dettagli un decennio del secolo scorso, e la prospettiva di un confortevole rifugio dal presente finisce per allettare anche chi è perfettamente sano. “Talora è più difficile dimenticare che ricordare. Il mondo si era trasformato in una clinica aperta del passato, come se fossero caduti i muri.” In Europa intanto viene indetto il primo referendum sul passato capace di definire Stato per Stato qual è il decennio prediletto dalla rispettiva popolazione. Tutto questo è psicosi? Forse però non dimentichiamo che “..ci sono cose che si ricordano per tutta la vita. Forse perché i padri di quei tempi, e mio padre non faceva eccezione, non parlavano mai con noi come se fossimo grandi. Perciò questa sua battuta andava annoverata tra gli eventi straordinari. Doveva essere una specie di testamento paterno. E non avevo capito bene se intendesse che la vita sarà piena di sconfitte e quella era solo la prima, oppure che la vita è più grande di ogni sconfitta. O forse tutte e due le cose. L’importante dei ricordi, del passato, l’ossessione del voler tornare indietro… il non saper lasciar andare… Siamo tutti malinconici empatici che non riusciamo a guardare il tempo scorrere con indifferenza. Al punto che le persone perdono di propria volontà la memoria pur di poter tornare indietro… dando vita a un vero e proprio ribaltamento del tempo e dell’ordine mondiale. Lo stesso narratore, poi, comincia a cedere all’oblio, proprio nel confermare ancora una volta l’impossibilità di vivere nel passato. La figura nel narratore si confonde sempre più con quella di Gaustin. Esistono entrambi oppure uno e la trasposizione dell’altro o viceversa? La vita prosegue e dall’altra parte, opposto, il passato si allontana sempre più. E proprio in questa incessante consapevolezza si struttura la perdita, la morte del romanzo. Cronorifugio è un romanzo non catalogabile, una grande prova di stile, ma soprattutto un’impressionante analisi sulla memoria e la chiave di volta per comprendere il nostro presente.